Dalla Gazzetta dello Sport del 17/9

18 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 7 Commenti 


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Il CONI critica la FITeT

15 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 1 Commento 


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Settembre ‘09

14 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 15 Commenti 

E’ il mese degli Europei e della ripresa stagionale dell’attivita nazionale.

Le squadre nazionali in questo momento si trovano in Germania a Stoccarda e per le ex Campionesse d’Europa le cose si sono messe subito male. Lotteranno per le posizioni 9-16 mentre gli uomini dal 17 al 20.
Anche quest’anno le magnifiche 4 sono le stesse del 2003 anno d’oro per la Fitet quando alla guida delle ragazze c’era Maurizio Errigo, ora a guidarle c’e’ Csilla Batorfi, anch’essa ex campionessa europea, mentre negli uomini l’inevitabile avvicendamento di Yango, ora la nazionale e’ sulle spalle di Mihai Bobocica ed a consigliarli c’e’ Lorenzo Nannoni, ex nazionale ed ex campione d’Italia.

In Italia e’ iniziata la stagione ‘09-’10 (mamma mia, il 2010 come passa il tempo). Dunque subito un torneo nazionale quarta, striplato, Arezzo, Ponte di Legno, Reggio Calabria.
Ad Arezzo hanno vinto Papa Francesco del TT Arezzo e Ghigi Giulia del TT Tifernum, a Ponte di Legno Coppi Filippo del TT Abba e Sattler Miriam del ASV Tramin, a Reggio Calabria Mirabella Ivan del TT Olimpicus e Infantino Maria del TT Eureka.

Il campionato di serie A1 inizia il 28 di settembre mentre gli altri campionati minori il 3 di ottobre.

Arriverdi a presto

Lettere all’amministratore

9 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · Lascia un commento 


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Ferragosto con Lutsenko

7 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 6 Commenti 

di Alberto Vermiglio
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Dal Corriere della Sera del 3.9.

6 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 2 Commenti 


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La Fitet, un paziente curabile.

1 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 12 Commenti 

Da un po’ di tempo avrei
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Lo sport insostenibile

1 Settembre 2009 da Ping Pong Italia · 7 Commenti 

Lo spunto di questo post mi viene fornito dai vostri interventi e sono contento di poter dire la mia su qualcosa che è parte integrante della mia vita, lo sport. L’ho impostato come una lettera il cui destinatario è il Capo dello Stato rappresentante di tutti, anche degli sportivi.

Egregio Capo dello Stato, innanzitutto mi permetta di esprimere l’emozione nel momento che Le scrivo ma non avevo mai scritto ad un Capo dello Stato prima d’ora.

Vede eccellenza, nella primavera del 2001, con grandi sforzi riuscì ad avere i consensi tali da venire eletto nel Consiglio Nazionale del CONI in rappresentanza degli atleti, ebbi modo di segnalare lo stato di stallo in cui versava lo sport italiano nei confronti della categoria più bistrattata, gli atleti. Avevo sottolineato come lo sport in generale fosse particolarmente fortunato di avere dalla sua parte i Gruppi Sportivi Militari, cui non finirò mai di ringraziare e, successivamente, dissi anche, che i risultati agonistici sortivano da una specie di forza inerziale scaturita dagli anni d’oro del totocalcio, quando cioè lo sport poteva investire nello sport, nei giovani, nei talenti dissi anche che la spinta si sarebbe indebolita nel giro di un decennio.

So che l’argomento per Lei potrà avere poca rilevanza, ma per me e per tanti altri è il motivo della vita e così, l’intervento di Pietro Mennea, grandissimo dello sport italiano, ricorda, 19′72″ nei 200m piani era il 1972 a Città del Messico, mi trova d’accordo sull’analisi di un certo immobilismo da parte dei dirigenti ma c’è anche un altro punto cruciale: bisogna partire dagli atleti i cui risultati agonistici arrivano se si consente loro di allenarsi con serenità e di non avere paura delle incertezze che riserva il futuro. Provo a spiegarmi meglio Presidente.

Le fortune sportive dei paesi dell’Est di alcuni decenni orsono e, quelle della Cina dei giorni nostri, derivano da due elementi fondamentali: la totale dedizione alla disciplina sportiva (non importa quale) in età scolare e l’assenza di una qualsivoglia preoccupazione per il dopo attività agonistica (lavoro, pensione). Avere questi due elementi allo stesso tempo significa poter ambire a grandi traguardi. So che Lei ne ha ampie capacità per verificare, ma signor Presidente, provi a domandarsi, quante federazioni o governi sarebbero in grado di soddisfare questi due aspetti della vita sportiva? E vado oltre, chi può offrire tali garanzie nell’Europa cannibale di oggi? Nessuno.
Chiedo scusa per aver usato questo termine forte, Lei è un europeista convinto, anch’io lo sono, a tal proposito le racconto questo piccolo aneddoto che esula dallo sport. Durante la frequentazione delle scuole superiori in lingua italiana scritta non riuscivo a conseguire mai la sufficienza, era il mio punto debole; finalmente all’esame di maturità, nel 1978, tra le proposte di letteratura e storia c’era l’attualità, l’Europa Unita, beh il mio fu un capolavoro di lungimiranza, il miglior compito di tutto l’isitituto, 8 e mezzo, chissà forse avevo enfatizzato l’Europa come speranza futura e le sue potenzialità per tutti noi, comunque sia, purtroppo, dopo 30 anni mi è uscita spontaneamente la combinazione Europa cannibale, e si sa la spontaneità è sinonimo di sincerità. Dico questo perché in ambito sportivo continentale per arrivare a quello nazionale, vige la regola del tutti contro tutti. Si potrebbe obiettare che è la logica del confronto sportivo, se si riferisce alla gara sono pienamente d’accordo, ma quando si tratta di crescere tecnicamente e pedagogicamente i ragazzi allora la logica è diversa. E non basta l’idea nazionalista alla francese, forse Lei non sarà d’accordo, ma io penso che quella italiana non è mai esistita, perché nel frattempo il gap tecnico accomulato nei confronti di paesi come la Cina, diventa sempre più difficile da colmare. I governi sportivi europei si sono omologati, tutti uguali e tutti si sono lasciati corrompere dalle logiche privatistiche dei club che, in buona sostanza, hanno paradossalmente allontanato gli atleti dalla dedizione totale allo sport solo a favore del proprio risultato. I motivi sono semplici, i club esigono risultati, quindi prestazioni agonistiche settimanali, le nazionali invece hanno programmi più a lungo termine, all’interno dei quali, oltre ai risultati c’è la crescita tecnica degli atleti. E quasi mai si è assisitito ad una cooperazione tra pubblico e privato in favore di un risultato condiviso. Si fa finta di lavorare per un fine comune, ma in realtà ognuno fa come gli pare e gli piace.
Ora, deve sapere signor Presidente che, per motivi che non Le sto a raccontare evitandoLe d’annoiarLa più del dovuto, mi trovo a lavorare in India, dirigo le nazionali maschile e femminile in vista dei Giochi del Commonwealth che si svolgeranno in India nell’ottobre del 2010. Inevitabilmente sono venuto a conoscenza del sistema sportivo indiano che in breve espongo. È un sistema che offre agli atleti uno status davvero invidiabile: gli atleti che si distinguono per risultati, già dall’età di 16-17 anni, vengono impiegati da società private a carattere nazionale, ricevono un salario per l’attività sportiva di alto livello e, quando decideranno di smettere, potranno essere integrati nei vari uffici sparsi per tutto l’immenso paese con uno stipendio che sarà in relazione al grado di istruzione conseguito durante gli anni di attività agonistica. Questo sistema ha un ulteriore vantaggio: la fidelizzazione degli atleti per le varie aziende, raramente accade che un atleta decida di spostarsi da un’azienda all’altra. Nel continente indiano, così lo definirei tanto e grande e variegato, succede l’opposto dell’Europa, non lo voglio minimamente paragonare al sistema asiatico, numero uno, ma la presenza privata, che dà sostegno economico e garanzie di lavoro future, è marginale rispetto al volume di lavoro tecnico a cui sono chiamati gli atleti delle nazionali, esattamente il contrario europeo. In questo modo gli atleti sono sereni di allenarsi tutti i giorni e contenti della propria condizione sociale, non li ho mai sentiti lamentarsi per le questioni economiche, nessuno, sono tutti soddisfatti, condizione incredibilmente favorevole ad un sano sviluppo tecnico. La cosa interessante è che gli atleti sono veramente e fortemente motivati per il bene dello Stato. Un vero nazionalismo sportivo. Se sia il governo centrale ad obbligare le aziende ad adottare questo sistema non lo so, forse lo stato riconosce particolari benefici alle aziende che fanno davvero del bene allo sport.

Tornando alle logiche europee, per poter ottenere risultati occorre un riequilibrio dell’impegno degli atleti in favore della crescita tecnica, della serenità di allenarsi senza troppi assilli, troppa attività di club limita la periodizzazione dell’allenamento a medio e a lungo termine, in particolare, per il pingpong, ciò è davvero controproducente. Il nostro è uno sport tecnico quindi l’allenamento deve essere preponderante. A proposito Presidente, Lei ha mai giocato a pingpong? Se la risposta è no, Le consiglio di provare, è uno sport sano, non ci si fa male, non si fanno uso di droghe per migliorare la prestazione e si socializza facilmente.
Scusi la divagazione, concludo il mio pensiero, non dico che il club debba essere sminuito dal punto di vista tecnico ed economico, d’altra parte il grosso degli introiti degli atleti deriva dalle prestazioni di club. Dico solo che va ripensata l’attività senza perdere le prerogative dei club.
Il problema in campo pongistico è vecchio e a distanza di tempo si ripropone, ricordo negli anni ‘80 quando si erano avanzate proposte di concentrare l’attività di club di alto livello in un periodo particolare, quello estivo. Tutto il resto dell’attività (giovanile, veterani etc.) poteva rimanere tale. Quella proposta, secondo me ancora attualissima, aveva tre obiettivi: giocare in un periodo vuoto dalla presenza mediatica monopolizzatrice del calcio, quindi avere più spazi nei giornali e tv, avere la continuità delle gare (una o due a settimana) e lasciare il grosso del lavoro alle nazionali che così potevano disporre dell’intera rosa avendo in tutta comodità la possibilità di programmarsi l’attività a loro piacimento.
Di una cosa possiamo essere molto fieri, questo sistema ce lo ha copiato la Cina, infatti, qualche anno fa, anche la Cina comunista con forte vocazione al libero mercato, ha scoperto il business sportivo, la tv diretta, gli sponsors, i miti dello sport, dunque la ricca Superlega cinese viene svolta nei 3 mesi estivi sapendo di poter avere i migliori al mondo, anche quelli europei, e di lasciare alle squadre nazionali gli atleti per scopi ben più alti, le medaglie mondiali e olimpiche.

Lei sa meglio di me che il motore propulsore dello sport è il volontariato, primi attori fra tutti sono i genitori, i tecnici, i dirigenti, gli arbitri insomma una catena senza la quale le discipline sportive nemmeno esisterebbero, ma d’altro canto non esiste solo lo sport come attività fisica, questa è la prima fase poi c’è quello agonistico dove le società fanno la loro parte e poi c’è l’alto livello dove pochi hanno tanto e tanti hanno poco, scusi il gioco di parole.

Ora signor Presidente, a parte le lungaggini descrittive, c’è una cosa che potrebbe riguardarLa e se magari Lei potesse intercedere lo sport Le sarà enormemente grato: il futuro degli atleti.
L’India, definita la più grande democrazia del mondo, forse qualche spunto ce lo può dare. Una probabile soluzione è chiedere alle aziende di livello nazionale coinvolte nelle sponsorizzazioni di provvedere ad assumere gli atleti, così che questi possano godere anche delle previdenze. Si potrebbe magari garantire loro stipendi più ridotti ma con la possibilità di essere assunti in via definitiva, sarà l’atleta stesso che deciderà se rimanere in quell’ambito o intraprendere altre strade. Cosa ci guadagnano le aziende? Benefici statali, sgravi fiscali, sono convinto che le formule adatte si troveranno.
Quindi, come vede signor Presidente, accanto ad una riorganizzazione dell’attività agonistica serve anche una partecipazione più attiva dei governi politici centrali che almeno loro possano garantire agli atleti un fine carriera sereno senza essere dimenticati.
Ciò che le ho esposto sono punti importanti perché secondo me sono la chiave di un qualunque sistema sportivo. A mio avviso, per quanto importante e sostanzioso sia il contributo pubblico annuale allo sport, non è sufficiente a soddisfare quelle due condizioni di cui lo sport nazionale necessita. Le congratulazioni delle più alte autorità per le medaglie sportive sono doverose, i discorsi della rappresentatività dello sport nel mondo, il nazionalismo e l’inno, tutte cose che riempiono la solennità del momento però, obiettivamente, mi sembra che manchi qualcosa per suggellare la festa. Quel qualcosa, manco a dirlo, è la presenza stessa dello Stato nei confronti del futuro di quei grandi atleti, atleti che con tanto sacrificio vincono le medaglie e con tanta facilità vengono dimenticati, scompaiono nel giro di alcuni anni e di loro se ne perdono completamente le tracce. Ma negli anni che vestivano la maglia azzurra noi tutti eravamo pieni di emozione e orgoglio vederli cantare l’inno di Mameli mettendosi la mano al cuore, oppure vederli affrontare gli avversari di tutto il mondo e gioire delle vittorie, tutto ciò ci rendeva partecipi, molto italiani, poi, purtroppo, l’oblio, il nulla, goodbye.
Non sono bastati quei pochi interventi come l’istituzione di un vitalizio per i campioni atleti più bisognosi/sfortunati la cui vita aveva riservato amare sorprese e per le quali erano costretti quasi a mendicare o avevano subito delle pesanti inabilità.
Ma il fenomeno non si ferma ai supercampioni, ma anche a tutti gli altri, sì perché signor Presidente, per ogni atleta che vince una medaglia ce ne sono 8-10 che si sono sacrificati allo stesso modo rinunciando all’istruzione, agli affetti della famiglia e degli amici, perdendo così i migliori anni della loro giovinezza, tutto per niente, a loro nemmeno la pacca sulle spalle.
Si provi a pensare ad un pongista, ma potrebbe essere un ginnasta, un arciere, che volesse dedicare anima e corpo per diventare bravo, giocare in nazionale, diventare campione e puntare ai risultati più alti sapendo che gli anni dedicati allo sport non saranno trascorsi in vano, ora pensate a quanti altri potrebbero seguire le stesse orme sapendo che lo sport con il suo lavoro decennale, ventennale non sia stato un inutile periodo della vita. Dobbiamo poter far dire a questi ragazzi “ci voglio provare e so che non saranno anni gettati al vento”. Abbiamo un potenziale di passione sportiva che pulsa da tutte le parti del paese, sarebbe un peccato lasciarla svanire pian piano.
Ecco perché in tanti altri paesi le cose funzionano, gli atleti sono garantiti nel lavoro, come in tutti i lavori che si fanno, e perché signor Presidente, lo sport non è un lavoro come un altro?

Ho quasi terminato signor Presidente. Sapendo che il sistema è semplicemente da rivoluzionare, non dico da aggiustare, ho, in diversi momenti dei miei due mandati da Consigliere Atleta, sollecitato questo problema col rischio di essere stato ripetitivo, quindi mi sono rivolto ad esponenti tanto di governo quanto di opposizione, ho prodotto documenti, abbozzato dei calcoli di eventuali costi alla collettività, la mia proposta era molto semplice: riconoscere gli anni di attività in maglia azzurra certificata dalle federazioni ai fini della previdenza pensionistica. I parlamentari dovevano sapere che un atleta che dedica 10-15 anni alla nazionale, ammesso che riesca a trovare lavoro a fine attività agonistica, non potrà in alcun modo completare gli anni di contribuzione per ottenere una pensione decente; gli sportivi, che son dei grandissimi lavoratori, sono destinati ad avere la pensione minima, quella statale dei poveri, quella che ogni cittadino ha il diritto di avere, questo è un fatto inequivocabile.
Insomma ho cercato di smuovere le acque, come si suol dire, ma non è successo nulla, quindi tornando a Pietro Mennea non resta altro che insistere, d’altra parte siamo sportivi, viviamo la vittoria e la sconfitta come eventi naturali quindi continueremo a lottare, non possiamo fare altro.

Grazie della Sua attenzione.

Cordialmente.

P.S.

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