Anatomia dell’allenatore

8 Gennaio 2017 da Ping Pong Italia 

Questo post nasce dall’analogia sullo studio di come un elemento è formato e le sue funzioni, è pertanto suddiviso in due parti:
Anatomia dell’allenatore, come è composto (parte prima)
Fisiologia dell’allenatore come funziona (parte seconda)

Anatomia dell’allenatore.

Quanti tipi di allenatori conosciamo? Svariati, molti, moltissimi, forse infiniti.
Ecco un casuale elenco approssimativo di diverse tipologie:
l’allenatore manovale,
l’allenatore giocatore,
l’allenatore asceta,
l’allenatore pratico,
l’allenatore di sintesi,
l’allenatore individuale,
l’allenatore formatore,
l’allenatore filosofo,
l’allenatore analista,
l’allenatore chiacchierone,
l’allenatore tuttofare,
l’allenatore di squadra,
l’allenatore psicologo,
l’allenatore organizzatore,
l’allenatore trainer,
l’allenatore di panchina,
l’allenatore motivatore,
l’allenatore correttore,
l’allenatore di gruppo
,
l’allenatore genitore,
l’allenatore amico,
l’allenatore severo,
l’allenatore dirigente 
e molti altri, insomma un bel campionario di elementi, magari se ne avete altri in mente, aggiungeteli pure.
In un modo o in un altro l’allenatore è unico, perché se è vero che ha la sua indole è altrettanto vero che ha delle doti uniche riferite al materiale umano che si trova a dover trattare. Nello sport in genere è davvero difficile dire uno è migliore o peggiore di un altro, poiché il riferimento sono gli atleti con cui ha e ha avuto a che fare, la comunicazione che riesce a trasmettere, il carisma che mostra, etc. Non ci sono fattori oggettivi determinanti, per i quali senza ombra di dubbio si direbbe: Tizio è un grande allenatore, Caio non ci capisce nulla; poiché come abbiamo visto sopra le tipologie sono tante. Si, so quello che pensate, i risultati sono i fattori oggettivi, certamente ma quali? A cosa ci si riferisce? E quanto dura l’effetto risultato?
 A tal proposito mi viene in mente la parabola svedese, allora, svariati anni passati, avevamo una venerazione per i grandi atleti ma anche per l’allenatore che li guidava, finito il momento magico, nulla è rimasto, nemmeno l’eredità dell’allenatore, e la Svezia è caduta nell’oblio. Dunque, su cosa dobbiamo basare il nostro futuro? Sperando nel talento e basta, e poi ci affrettiamo a dire che siamo grandi allenatori? Troppo facile e riduttivo. Il problema è che non abbiamo un background, una storia e, peggio, non facciamo storia, come possono dunque le nuove generazioni a crescere senza punti di riferimento? Ci serve un lavoro di squadra, un lavoro che permetta ai giovani allenatori di contare sulle esperienze di chi li ha preceduti e di portare nuovi contributi, energie, idee. Si, ci serve una squadra con qualcuno a capo che guidi il settore e lo illumini, non esiste solo l’alto livello, esiste la base (in genere smarrita, sparpagliata e improvvisata), un capo capace di ascoltare e di farsi ascoltare, di guidare e di farsi guidare dal movimento pongistico.

Piccoli passi

In molti paesi sono istituiti dei premi, negli Stati Uniti ad esempio ogni anno viene assegnato il premio Coach of the Year e ci sono 5 categorie: National Coach (riservato a chi allena atleti di alto livello), Developmental Coach (chi si occupa di crescere giovani promettenti), Paralympic Coach (per allenatori che lavorano con i disabili), Volunteer Coach (chi allena per puro gusto di allenare senza un ritorno economico), Doc Counsilman (Technology) (allenatore che utilizza per il suo lavoro strumenti tecnologici creando soluzioni innovative). Un atto bipartisan di questa federazione 2016 proposto magari dal consigliere tecnico (in teoria sarebbero tutti tecnici ehehe) o da uno dell’opposizione sarebbe quello di istituire immediatamente un riconoscimento per allenatori. Ricordo negli anni ’70 c’era un premio analogo al Developmental americano, era il “Premio Fiuggi Giovinezza” e veniva consegnato agli allenatori emergenti durante i campionati italiani di Fiuggi, era una bella cosa, la ricordo con piacere. Attraverso un riconoscimento ufficiale federale gli allenatori possono far tesoro e poter esibire il proprio titolo, che so, nelle palestre, utilizzarlo per il proprio lavoro, per ottenere sponsorizzazioni per la squadra, accedere a dei bandi di concorso internazionali, insomma un attestato di merito, non mi sembra tanto difficile istituirlo. Vedremo.

Dove non arriva la tecnica, arriva l’abilità individuale

Quindi, come dicevo, occorre distinguere bene il tipo di allenatore di cui si analizzano le sue qualità, di una cosa sono fermamente certo: io credo sia arrivato il momento di superare l’idea di tecnica pura, e lo dice uno che è fautore di questa teoria, da sempre, ma con la spinta e la forza di evolversi, ne comprendo e ne accetto i suoi limiti, poiché dove non arriva la tecnica, arriva l’abilità individuale. 
Non posso pertanto dar ragione e nemmeno dar torto a chi dice topspin col braccio teso o top col braccio flesso; gamba destra avanti o gamba destra dietro, impugnatura del diritto o impugnatura del rovescio o impugnatura mobile, rovescio con o senza polso, perché il pingpong è tutto e il contrario di tutto, anzi un grande giocatore utilizza tutte queste cose e altre ancora, anche se non gliele hai mai insegnate, è spinto da una necessità intrinseca, quella di ribattere una palla di qualità nell’altra parte del campo e possibilmente fare punto, senza preoccuparsi di quale mezzo tecnico debba usare. Il gioco di oggi è molto più concreto di quanto si possa pensare rispetto ai decenni scorsi.

 Andando quindi oltre, possiamo metaforicamente parlando come Einstein e dire che esiste tanto una tecnica generale quanto una tecnica relativa. Se poi mi si chiede quale sia il mio ideale, beh naturalmente ho le mie idee, vi anticipo solo che prima di imporre la mia visione del gioco, cerco di capire quali sono le potenzialità del soggetto con cui dovrò lavorare, un po’ come quello che succede tra un medico e il suo paziente, prima di tutto c’è l’anamnesi e quindi pensare e passare alla terapia, ad esempio se conviene curare più i difetti o esaltare le abilità, se ci sono predisposizioni speciali o tendenze particolari.
 Secondo me è tempo di iniziare una nuova fase, un nuovo modo di intendere l’allenatore, una sorta di nuovo rinascimento dove, al centro dell’interesse, non ci sta l’allenatore ma il giocatore. È l’allenatore che ruota attorno al giocatore e non viceversa.

Confronto e condivisione

In genere gli allenatori tendono a catalizzare il proprio ego, imponendo un carisma reale o virtuale, molto spesso vorrebbero vedere i propri atleti giocare a loro immagine e somiglianza, eseguire i colpi esattamente come loro. Questo modo di fare fatalmente porta a essere uno e tutti, sintesi e analisi al tempo stesso; di conoscere la tecnica generale e la tecnica relativa; di sapere tutto e di tutto. Se da una parte questo nobilita, dall’altra purtroppo limita poiché ognuno crede di avere la verità totale incorporata, una soluzione tecnica del gioco e dei risultati, millantando metodologie e sistemi assolutamente non verificabili e il più delle volte improvvisati. Dico purtroppo perché in molti altri campi succede la stessa cosa, forse è la natura stessa dello sport.
Sapete perché nel settore tecnologico tutto funziona, almeno credo, in modo ottimale? Sapete perché le cose progrediscono a velocità incredibile?  Perché c’è un interscambio di informazioni, una condivisione di dati, un modo di fare aperto dove ognuno migliora l’altro in una continua corsa e rincorsa dell’altro, proprio come avviene nello sport giocato; ognuno interagisce con l’altro in un continuo scambio di feedback. 
In palestra sono i nostri ragazzi a mettere in pratica questo processo confrontandosi fra loro, ma fuori, noi allenatori non siamo così aperti come dovremmo essere. 
Io non so se questo sarà realizzabile nel pingpong ma sono convinto che è la strada per crescere e per far crescere in fretta i nostri ragazzi, ma bisogna saper ascoltare e essere umili. Avete mai fatto caso che quando due allenatori parlano in realtà nessuno ascolta l’altro? Ci si preoccupa di affermare il proprio pensiero senza elaborare il pensiero altrui, si alza un muro volontario o involontario. Mi è capitato moltissime volte di vedermi esporre un problema, propongo una soluzione e immediatamente ti dicono: ah si certo io glielo dico sempre al mio studente; come dire che la colpa è dell’atleta che non capisce. Alibi perfetto. O in altri casi ti pongono subito un’altra domanda che nulla ha a che vedere con la precedente.
Da oggi in poi evitiamo gli alibi e scambiamoci più idee, più informazioni, teniamo aperti i nostri dubbi e lasciamone entrare altri, studiamo, verifichiamo e testiamo in palestra il lavoro e l’eventuale risultato.

Infine…tu che tipo di allenatore sei?

Coach Max

Commenti

2 risposte per “Anatomia dell’allenatore”

  1. lelesguizzero ha scritto il 9 Gennaio 2017 21:08

    Caro Max,

    come sai bene ti ritengo un valido allenatore, come uno o due in Italia…però non capisco perché hai scritto un papiro per non dire praticamente niente.

    Riepilogo con parole mie: l’allenatore conta poco o niente…ma se ci capisce è meglio.

    Scusa ma l’amico del drago, mister 44, in che categoria rientra?

  2. ZZ top ha scritto il 11 Gennaio 2017 21:27

    @sguiZZ a noi animatori dei villaggi turistici pingpong post lavoro … questo articolo è utile …

    @coachmax grazie

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