Intervista esclusiva a Patrizio Deniso

16 Settembre 2005 da Ping Pong Italia 

Il pensiero dei pongisti è oggi riferito da Patrizio Deniso, coach dell’ASTT Pieve Emanuele, Campione d’Italia, allenatore della squdra nazionale italiana maschile dal 1992 al 2001, con la nazionale italiana ha conquistato la medaglia di bronzo ai campionati del mondo a squadre di Kuala Lumpur del 2000.
Come è già successo per Lorenzo Nannoni rivolgiamo 10 domande altecnico lombardo.
Siamo anche in attesi di ricevere le autorizzazioni per conoscere il pensiero anche di Roman Plese allenatore della squadra femminile.

buona lettura

Nella tua carriera hai vinto davvero tanto e hai portato alcuni atleti a competere ad alti livelli, che cosa spinge un tecnico a perseverare nella strada del lavoro? E’ solo un compito al quale deve assolvere? E’ un lavoro come un altro? C’è qualcos’altro di più?

E’ un lavoro che ti piace e che svolgi con grande passione, ma la molla che ti spinge a lavorare duramente e’ il mettersi in continua discussione, la ricerca del risultato, della vittoria.
Vittoria intesa non solamente come obiettivo agonistico, ma anche umano.
Un atleta con la A maiuscola deve essere un vero uomo. Quando tu allenatore capisci che i tuoi atleti hanno appreso rispetto e disciplina (cultura del rispetto), hai vinto e forse loro potranno diventare dei grandi giocatori.

Hai una vasta esperienza, sei cresciuto prima con i tecnici cinesi e poi con Milan Stencel, vero tuo maestro, hai provato diverse metodologie, se dovessi avere un gruppo di tecnici da istruire quale è secondo te la filosofia di lavoro ideale?

La mia filosofia e’ il costante lavoro, un lavoro di qualita’, dove tecnica e preparazione fisica ricoprono una grandissima importanza e l’aspetto mentale diventa determinante nel riuscire a sviluppare una tattica efficace.
I miei giocatori devono comprendere quello che fanno.
E’ fondamentale che sappiano quanto e’ importante gestire la propria forma fisica con un lavoro costante e continuo in cui il giusto riposo rientra nella preparazione e crescita del giocatore .
Quindi lavoro costante e continuo, ottima tecnica e preparazione fisica, grande tattica.
Un bravo tecnico deve capire le varie differenze fisiche, mentali e tecniche di ogni suo atleta cosi’ da costruire un personale modello di gioco sviluppando, di conseguenza, una tecnica ed una tattica adeguate (stile).
Per me e’ importante capire se hanno capacita’ di reagire alle difficolta’, reagire positivamente alle mie provocazioni, ai miei stimoli volutamente stressanti, resistere alla fatica.
Rifiuto di lavorare con chi reagisce negativamente, incapace di sostenere pressione psicologica ed elevati carichi di lavoro e, per concludere, non sopporto i genitori invadenti, poco obiettivi e che vogliono sostituirsi all’allenatore.

Parlaci delle differenze di lavoro tra quello di club e quello di nazionale.

Sotto l’aspetto dell’impegno non e’ cambiato molto. Ero full time prima, lo sono ora, ma con una qualita’ di vita migliore e posso, finalmente, godermi la famiglia.
Il confronto tecnico e competitivo e’ sicuramente differente. Con la Nazionale ero costantemente sottoposto ad uno stress agonistico di alto livello. Il confronto era sempre con giocatori e teams di elevato valore tecnico, in Italia, salvo rari casi, non e’ così, anche se quest’anno, grazie alla Coppa Campioni, sto assaporando le stesse sensazioni.
Gli obiettivi erano differenti; inizialmente a lungo termine, per poi passare ad obiettivi a medio-lungo, medio termine. Costruita una squadra competitiva, l’obiettivo principale e’ diventato quello agonistico, ottenere risultato negli appuntamenti piu’ importanti della stagione.
In sintesi, ho inizialmente sviluppato un lavoro che tralasciasse la ricerca del risultato agonistico a favore di una faticosa crescita tecnica e mentale, nella continua selezione di atleti disponibili a lavorare quotidianamente in modo continuo e costante.
Nel Club gli obiettivi sono a breve scadenza. La gestione della squadre è quotidiana, mentre in Nazionale il lavoro più importante era effettuato prevalentemente in determinati periodi, inseriti in un programma che poteva fare parte di una periodizzazione a breve, medio, o, nel caso delle Olimpiadi a medio-lungo termine.
Il lavoro era più organizzativo. Dovevo creare una mentalità competitiva, dare un indirizzo tecnico a tutta la base. Inizialmente, come già detto, non era importante il risultato agonistico, ma quello tecnico, fisico e mentale.
Era fondamentale programmare gli impegni agonistici internazionali, tenendo presente il contesto agonistico Nazionale, inserendo stages di preparazione che rientrassero in una periodizzazione di lavoro che tenesse in considerazione di volta in volta gli obiettivi tecnici-agonistici prefissati.
Quindi obiettivi differenti, programmazione e periodizzazione differente, differenti i contenuti degli allenamenti.
Nel Club il programma di lavoro è inserito nel quotidiano contesto sociale.
L’atteggiamento nei confronti degli atleti e la loro gestione è diversa rispetto alla Nazionale che aveva allenamenti più concentrati in giornate di lavoro dettagliatamente organizzate.
Nel Club i giocatori hanno esigenze di vita personali che vanno diversamente gestite.

Hai portato il Pieve Emanuele ai vertici italiani, secondo te questa squadra a che cosa può ambire nell’immediato e questo club in futuro?

Nell’immediato vogliamo entrare fra le prime otto squadre d’Europa .
Questo e’ il primo obiettivo della stagione .
Nel futuro, considerata la grande e vulcanica determinazione del Presidente D’Ambrosio c’è la volontà di creare un settore giovanile competitivo in Europa, con una struttura tecnica e dirigenziale altamente professionale.
Una organizzazione che possa essere di riferimento non solo in Italia, ma anche in Europa.

Hai giocato per tanti anni, hai allenato per tanti anni, come si sta muovendo la tecnica del pingpong.

Sono ormai diversi anni che la tecnica è indirizzata ad una gestualità essenziale, fatta di movimenti brevi e molto rapidi in cui l’utilizzo dell’avambraccio è determinante.
Questo costringe il giocatore a rimanere molto vicino al tavolo (prima posizione) nella ricerca continua dell’impatto con la pallina sopra la sua linea di base.

Il punteggio a 11 punti ha creato senz’altro maggior equilibrio tra giocatori, infatti i risultati a sorpresa sono più frequenti rispetto al passato, puoi dirci qualcosa di come la tattica sia cambiata rispetto al punteggio?

E’ vero, c’è maggiore equilibrio. Il punteggio a 11 punti non ti permette di smarrire mai la concentrazione, basta un attimo per perdere 1 o 2 punti e perdere set ed incontro.
Per questo motivo ci sono punti meno spettacolari, non bisogna rischiare e concedere niente.
I primi punti del match diventano decisivi.
E’ fondamentale cercare di giocarli il più semplice possibile con grande qualità di servizio e risposta.
E’ necessario conoscere molto bene l’avversario ed avere bene in testa cosa fare da subito, idee chiare fin dall’inizio, senza sperimentare, ma dando grande concretezza al proprio gioco, con una tattica e strategia ben stabilite e studiate in anticipo.

Dalla tua esperienza raccolta, cosa puoi suggerire ai nostri lettori sull’utilizzo del time-out?

Il time-out può essere richiesto dal giocatore o dall’allenatore. Sono due filosofie di scelta diverse.
Per quanto mi riguarda sono io a deciderlo, ma in questo caso, ti assumi una grande responsabilità con tutte le conseguenze.
Per tale motivo devi conoscere benissimo il tuo giocatore e devi rimanere sempre molto concentrato ancor più del tuo atleta.
Solitamente chiamo il time-out in tre circostanze particolari:

1) quando si sta perdendo la linea di gioco (si sta sbagliando tattica, smarrimento tattico) o perche’ sta diminuendo il livello di concentrazione o perche’ l’avversario è riuscito a modificare la propria tattica di gioco.

2) per interrompere una fase negativa del proprio giocatore o una serie positiva dell’avversario

3) per comunicare un consiglio tattico che potrebbe essere decisivo per il risultato in un momento molto delicato del match.

Il time-out e’ una soluzione estrema che in alcuni casi, se ben gestito, (giusto timing) puo’ permettere di risolvere una situazione critica.
Non ritengo abbia senso chiamarlo quando c’è un’evidente superiorità tecnica, tattica e psicologica. In questo caso sarebbe necessario un time-out di un anno e …forse, non sarebbe ancora sufficiente. Se fossimo su un ring getteremmo la spugna.

Il distacco dalla Nazionale è stato un trauma per tutti, che cosa ti è rimasto di buono di quel lavoro e che cosa ti ha lasciato l’amaro in bocca?

Tutta l’esperienza che ho maturato, la devo al mio impegno in Nazionale.
Il ricordo della medaglia conquistata a Kuala Lumpur mi rimarrà sempre impresso. La gioia e le lacrime dei ragazzi, la felicità dei dirigenti (probabilmente vera), la commozione degli allenatori, indimenticabile!
Salire sul podio accanto a squadroni come Svezia e Cina è stata una grande emozione.
Purtroppo l’irriconoscenza di una parte dirigenziale, la mancanza di rispetto di alcuni dirigenti e non, mi ha enormemente amareggiato.
Pochi hanno riconosciuto ed apprezzato obiettivamente il risultato del mio lavoro.
Il più grande rimpianto è quello di non avere mai avuto la possibilità di difendere e spiegare il mio operato, le scelte, le decisioni, la mia strategia tecnica, nelle sedi opportune (ad es.in un consiglio federale).
Troppe volte il mio indirizzo tecnico è stato strumentalizzato per un fine politico, intorpidendo ed offuscando, volutamente, l’importanza dei risultati ottenuti. Era evidente l’esistenza di una forte opposizione politica che non accettava l’efficacia di un progetto tecnico ben sviluppato e che stava esprimendo risultati tecnici ed organizzativi di grande qualità. Risultati invidiati in tutto il mondo.

L’esperienza maturata con la Federazione, i risultati, le soddisfazioni e le delusioni, che cosa hanno rappresentato nella tua carriera?

L’esperienza maturata con la FITeT è stata interessante e costruttiva.
Sono grato a coloro che mi hanno offerto questa grande possibilità, ma tantissimo ho dato in termini di sacrificio, impegno e passione.
La piu’ grande soddisfazione, a parte i risultati ottenuti, è stata la riconoscenza, il rispetto e l’affetto dimostratemi dai miei giocatori.
Questi ragazzi mi rimarranno sempre nel cuore. Mi hanno confermato che il lavoro paga ed io, grazie a loro, sono stato completamente ripagato.
Mentre, nei confronti di alcuni presunti dirigenti ed amici, la delusione e’ stata grande, ma prima o poi tutti i nodi verranno al pettine e come diceva un grande mio amico :”non sputare in alto che ti ritorna in bocca…”

Si sa che in Italia, almeno quella pongistica, l’informazione è piuttosto latente, in giro c’è solo un gran passaparola, ci puoi dire a che punto è la vicenda legale con la FITeT e se secondo te ci potranno essere elementi per i quali potresti tornare a fare il ct?

Riguardo quest’ultima domanda, riporto quanto comunicatomi dal mio Avvocato.
Il giudice ha accolto la richiesta nei confronti della FITeT, che è stata condannataa pagare la somma di 8.251,02 euro, mentre ha respinto la domanda nei confronti del CONI, in quanto il Giudice ha ritenuto equivalente il nuovo incarico conferitomi dalla FITeT dopo l’esonero da responsabile delle Squadre Nazionali.
Siamo intenzionati a fare ricorso ed ottimisti. Non sara’ difficile spiegare che tra un incarico di responsabile di un presunto progetto formazione allenatori e quello di responsabile di una squadra nazionale c’è una notevole differenza.
Purtroppo, il giudice, donna, non ha, probabilmente le giuste competenze e conoscenze sportive. Adesso dite che Deniso e’ un misogeno.

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