Operazione oblio

21 Febbraio 2012 da Ping Pong Italia · 59 Commenti 

del Drago Rosso

Massimo Costantini «coach dell’anno» negli Stati Uniti è l’ennesima prova di cosa il tennistavolo italiano ha perso per colpa di personaggi che stanno distruggendo il nostro sport. In Italia il suo nome è stato letteralmente cancellato dalla Fitet e questa opera di «annullamento totale» continua a svilupparsi in tanti altri modi, quasi che i padroni del vapore vogliano assicurarsi che di Massimo non resti più traccia. La distruzione arriva al punto da mistificare anche i riferimenti più importanti, come dimostra un articolo apparso sulla rivista federale di Settembre 2011, con un articolo dal titolo «Senigallia… un grande avvenire dietro le spalle». L’articolo non è firmato.
Una doverosa premessa.
Tutto quello che, in questo articolo, riguarda la descrizione del Centro olimpico di Senigallia è assolutamente vero ed esatto, dall’idea originale che si distaccava dai modelli di palazzetti per il tennistavolo di quei tempi fino alle soluzioni più moderne, che tuttora restano all’avanguardia. Ed è tutto vero per quel che riguarda il ruolo di Enzo Pettinelli e di tutto l’ambiente di Senigallia in questa struttura e nell’evoluzione che essa rappresenta. Insomma, chi ha scritto l’articolo ha avuto informazioni esatte e le ha riportate nella maniera corretta.
A un certo punto, però, l’articolo va completamente fuori strada. Ne traggo il passo più importante, quello che rende l’idea di come Costantini sia stato cancellato addirittura nella sua città, Senigallia. Ecco il testo:
«Il tennistavolo non è uno sport olimpico, ha pochissima pubblicità nei giornali e nella tv tranne qualche occasione sporadica, il movimento federale è piccolo, con 10.000 tesserati e 1.000 società, ed è entrato a pieno titolo nell’ambito delle federazioni sportive solo da pochissimi anni. Non ci sono vittorie internazionali di prestigio fatto salvo un titolo europeo ragazzi di Giovanni Bisi. Pensare perciò che una amministrazione pubblica possa costruire un impianto ad uso esclusivo del tennistavolo è una utopia, un sogno. Pettinelli ha avuto il merito non solo di progettare un impianto risultato poi eccezionale, ma ancor prima di pensare che fosse possibile realizzarlo. All’inizio sembrava un’idea un po’ visionaria ma poi, un po’ alla volta, man mano che si trovavano i finanziamenti, il progetto prendeva forma ed i lavori iniziavano, c’è stata la consapevolezza di gettare un seme».
Si parla del 1987, quando il «Centro di tennistavolo ad alta specializzazione» di Senigallia vince il primo premio del Concorso Nazionale Coni per gli impianti sportivi, superando le strutture di sport ben più famosi e importanti. Nelle righe che ho riportato si fa riferimento agli inizi degli anni Ottanta. Ebbene, nei richiami storici di queste righe, purtroppo, si accumula una serie impressionante di inesattezze e di omissioni, che provvedo a rendere chiare.
1) «Il tennistavolo ha pochissima pubblicità nei giornali e nella Tv».
Questa è una falsità assoluta. Se andiamo a prendere i giornali di quegli anni, scopriamo che lo spazio per il tennistavolo era superiore a quello attuale addirittura nella misura di 10 a 1. In quel periodo, da metà anni Settanta fino a metà anni Ottanta, c’erano numerosissimi articoli sul tennistavolo, in alcuni casi addirittura pagine intere, come sulla Gazzetta dello Sport vecchio formato, con le pagine grandi. E non erano a pagamento, come è invece accaduto in questi ultimi anni. L’unica spesa che la Fitet faceva a quel tempo era relativa all’invito rivolto ai giornali per un inviato in occasione dei Mondiali, iniziativa che anche altri sport hanno fatto e fanno tuttora. Basti pensare che ai Mondiali del 1979 in Corea del Nord insieme alla squadra azzurra c’erano tre giornalisti, fra cui Daniele Redaelli della Gazzetta dello Sport e Paolo Facchinetti del Corriere dello Sport, poi diventati responsabili di sport olimpici e altro nei loro giornali, ottenendo anche qualifiche ben più importanti. Questo per dare l’idea di chi i due maggiori quotidiani sportivi mandavano al seguito del tennistavolo, non l’ultimo redattore appena assunto, ma elementi importanti del giornale. Si andò avanti in quel modo fino ai Mondiali del 1991 in Giappone, ultima volta che ci fu un invito, prima di una lunga interruzione spezzata solo da Bosi, presidente federale, nel 2002 e nel 2003 per gli Open d’Italia e per gli Europei a Courmayeur. Dopo Bosi, mai più alcun invito. Adesso, escono solo piccoli articoli a pagamento su Corriere dello Sport e Tuttosport, quasi niente sulla Gazzetta dello Sport. Nell’articolo su Senigallia, invece, si fa intendere che i tempi bui erano quelli! Ripeto: il rapporto è di 10 a 1 a vantaggio degli anni Ottanta. Inoltre, giusto per far capire meglio la differenza fra il sistema degli articoli a pagamento e quello degli inviti alle manifestazioni, faccio notare che: gli articoli a pagamento sono controllati direttamente dalla Federazione, che prepara direttamente i testi o, nel caso questi testi vengano scritti dai redattori del giornale, ha il diritto di farli cambiare o addirittura rifiutarli; negli inviti alle manifestazioni, invece, la Federazione non ha alcun diritto a qualsiasi tipo di controllo sugli articoli, c’è l’inviato del giornale che scrive quello che gli pare, che piaccia o no alla Fitet che ha messo i soldi per farlo andare alla gara. La differenza è fondamentale e, in proposito, voglio citare un episodio significativo. Agli Open d’Italia del 1990, a Verona, la Fitet presieduta da Bosi invitò la Gazzetta dello Sport, che mandò un inviato a spese della Federazione. L’inviato non solo criticò l’organizzazione di quel torneo, ma mise anche in evidenza che ad avere i risultati migliori furono gli italiani che si erano iscritti per conto proprio e non quelli dei Centri federali. Quegli articoli fecero infuriare tecnici e giocatori dei Centri, con intervento anche dei famigliari dei giocatori, ma la Fitet non si permise minimamente di intervenire nei confronti dell’inviato o della Gazzetta. Anzi, fu proprio Bosi a dire a tecnici e giocatori che se ne dovevano stare buoni e rispettare il lavoro dell’inviato e della Gazzetta.
2) «Il movimento federale è piccolo, con 10.000 tesserati e 1.000 società».
I dati sono esatti, ma è l’interpretazione a essere sbagliata completamente. Dicendo che il movimento federale è «piccolo», si fa quasi intendere che adesso stiamo meglio. Il punto è che allora i diecimila tesserati erano veri, quasi tutti giocatori. Adesso, si parla genericamente di oltre diecimila tesserati (con punte di 15.000 e addirittura 25.000 in alcune dichiarazioni ufficiali degli ultimi anni), ma i giocatori veri non sono più di tremila, massimo quattromila. Nessuno si azzarda a fare una stima approfondita perché verrebbe fuori ufficialmente il disastro totale.
3) «Pensare perciò che una amministrazione pubblica possa costruire un impianto ad uso esclusivo del tennistavolo è una utopia, un sogno… All’inizio sembrava un’idea un po’ visionaria…»
E qui siamo davvero di fronte allo stravolgimento della realtà. Si fa capire che Pettinelli, da visionario, abbia pensato a costruire un impianto per il tennistavolo… nel deserto! Che Pettinelli avesse una visione futuristica del tennistavolo, sia dal punto di vista tecnico che da quello organizzativo, non c’è alcun dubbio. Ma qui non è in discussione Pettinelli, a sua volta discriminato da tutti i Consigli federali che si sono succeduti. Qui è in discussione il significato che si vuole dare alla volontà di costruire l’impianto, escludendo una parte fondamentale della situazione di quegli anni e della verità storica. E allora, ricordo alcune cose, per capire meglio quale fosse quella «realtà storica».
Intanto, bisogna ricordare che la decisione di inserire il tennistavolo nel programma olimpico fu presa nel 1981, nell’83ma sessione del Comitato olimpico internazionale. La prima Olimpiade col nostro sport fu quella del 1988, in Corea del Sud, a Seul. Prima ancora di quella data, comunque, Senigallia aveva conquistato un posto di rilievo nel tennistavolo nazionale grazie a una serie impressionante di vittorie, con protagonista assoluto Massimo Costantini, ma anche con tanti altri giocatori come Appolloni, Manoni e Duscio. Tanto per capirci: scudetto nel 1977 e 1979; Costantini campione italiano Allievi 1972, campione italiano junior 1974, campione italiano seconda categoria 1973, campione italiano assoluto 1976, 1978, 1980, 1981 (e poi 1982, 1991 e 1992), campione italiano doppio junior 1974 con Appolloni, campione italiano doppio assoluto 1976 con Giontella e 1977 con Manoni; Senigallia campione d’Italia a squadre Allievi nel 1972, campione d’Italia a squadre junior nel 1975 (entrambi i titoli con Costantini in formazione), campioni d’Italia doppio junior Appolloni-Duscio nel 1973. A tutto questo si aggiunga che Costantini nel 1981 arrivo’ a essere il n.39 della classifica mondiale e 30 di quella europea, traguardo mai piu’ raggiunto e nemmeno avvicinato da un italiano, e il quadro e’ completo. Come si vede, prima della fine degli anni Settanta, ben prima che il tennistavolo fosse ammesso all’Olimpiade, Senigallia era già la migliore realtà tecnica e organizzativa in Italia, con una serie di vittorie il cui protagonista principale era Massimo Costantini. Il Centro tecnico, poi chiamato «olimpico», era allo stesso tempo una bella intuizione di Pettinelli e una chiara esigenza sia della società di tennistavolo sia della città, per le numerose vittorie e per l’importanza che questo sport aveva assunto a Senigallia. E che il trinomio Centro olimpico-Pettinelli-Costantini fosse evidente e inscindibile lo si poteva dedurre anche dal fatto che, quando la struttura fu premiata dal Coni, l’immagine che fu data allo stesso Coni e ai mezzi di informazione fu una fotografia di Pettinelli e Costantini abbracciati davanti al Centro, la cui denominazione assunse ancora più chiaro significato quando proprio Costantini diventò il primo italiano a giocare all’Olimpiade.
Ma tutto questo scompare nell’articolo della rivista federale. Si parla del Centro come di un impianto piovuto dal cielo, di qualcosa che Pettinelli ha sognato una notte e che ha poi realizzato senza nemmeno chiedersi se valeva la pena in una città come Senigallia in cui, stando a quanto scritto nell’articolo, non si avevano notizie di campioni di tennistavolo, di vittorie e quant’altro che poteva essere la spinta decisiva per un Centro del genere. No, tutto questo non esiste, perché non deve esistere Massimo Costantini. Lui, il suo stesso nome devono essere cancellati e, somma ingiustizia, si prende proprio Senigallia come ultimo pretesto per farlo sparire dalla storia del nostro sport. Ed è quanto di più subdolo e meschino si possa fare. Come dire: vedete, persino a Senigallia, nessuno ricorda Costantini! Di questo passo, fra un po’ di tempo, il nome di Costantini sarà fatto sparire anche dagli Albi d’oro, con la collaborazione di tutto il tennistavolo italiano, popolato da pecore capaci solo di sventolare la bandiera dell’ignavia.

U.S. Olympic Team Trials

6 Febbraio 2012 da Ping Pong Italia · 2 Commenti 

Scrivo questo pezzo per due motivi: il primo, per l’imminente competizione Americana che vede impegnati 3 miei atleti, il secondo è di stimolare una discussione, peraltro già in corso su questo blog, sul criterio di selezione o convocazione degli atleti che dovrebbero rappresentare la maglia azzurra.

A Cary nel North Carolina dal 9 al 12 di Febbraio si disputeranno gli U.S. Olympic Team Trials. In un’unica competizione verranno qualificati 4 atleti maschi e 4 femmine per rappresentare l’America ai prossimi Mondiali di Dortmund e alle qualificazioni olimpiche continentali di Aprile sempre a Cary in North Carolina.
la caratteristica di questi trials è semplice ma la qualificazione è ardua. Chiunque può iscriversi al costo di $200 (a mio avviso un’enormità), ci sarà una prima fase di pre-qualificazione in cui solo 2 posti sono disponibili, questi due giocatori verranno aggiunti agli altri 10 considerati testa di serie. Il sistema di gioco altro non è che un top 12, tutte le partite sono al meglio di 7 sets, praticamente un massacro. Solo 4 saranno i fortunati a rappresentare gli States in tutte le competizioni del 2012. Il meccanismo si ripete ogni anno.
A discrezione del Tecnico, una vecchia conoscenza italiana degli anni ‘70, il rumeno Teodor Gheorghe, può indicare il n.5 che se accetta dovrà pagarsi tutte le spese, vitto, alloggio e viaggi per le gare che gli verranno proposte.

L’ICC l’Indian Community Center presenta Ariel Hsing (n.2), Lily Zhang (n.3) per le donne e Timothy Wang (n.4) per gli uomini. Le giovani campionesse hanno il 99% di probabilità di successo, lascio l’1% in caso di infortunio. Mentre Timothy dovrà davvero faticare moltissimo, io sono ottimista, spero che ce la faccia.

Mi fermo qui per il primo motivo ed in seguito vi farò saper i risultati.

Il secondo motivo può riguardare l’Italia per un futuro utilizzo dell’idea di base, non del sistema americano preso per valido al 100%. Certo il metodo presenta dei vantaggi ma anche degli svantaggi. Ad esempio la figura del Coach è ridicolizzata se non nulla, si potrebbe aggiungere che negli States c’è uno stage di preparazione all’anno, in genere 7 giorni prima dei mondiali, di solito avviene in Germania poiché il tecnico deglu uomini è tedesco, le donne seguono la stessa sorte. Forse questo 2012 qualcosina di più in considerazione delle Olimpiadi di Londra.

In Italia potrebbe funzionare un sistema misto. Credo che in Germania ed in Francia il Campione Nazionale abbia diritto al posto in squadra, poi anche anche loro hanno una sorta di trial. Il pingpong è uno sport dove la performance è alla base della fiducia in sé stessi. Se ottengo risultato nel mio paese ho più probabilità di garantire un buon standard di risultati a livello internazionale, se non vinco nemmeno a casa mia, come faccio a competere all’estero?

In India avevo adottato un sistema simile che prevedeva la massima trasparenza andando a vantaggio di tutti senza aizzare polemiche di alcun tipo. Si prendeva in considerazione 4 criteri: la classifica internazionale, quella nazionale, il parere del Selection Commettee (7 membri) e quello del Head Coach. Quando i primi 5 venivano indicati nessuno poteva sollevare obiezioni. Ricordo ancora che per stabilire il n.5 della squadra femminile abbiamo dovuto organizzare un trial in Cina, durante uno stage tecnico, per 3 ragazze che avevano lo stesso punteggio.

In Italia avevo iniziato un processo di meritocrazia per stimolare quei giocatori di seconda o terza fascia, ma anche per quelli di prima fascia, e dar loro una chance di far parte della rosa della Nazionale giocando competizioni selezionate. Senza far polemica non so che criterio ora si stia seguendo e se c’è un criterio, non so se ci sono pressioni politiche da parte degli organi federali oppure da parte delle società, mi auguro che i tecnici scelgano in libertà e trasparenza.

Dicevo che in Italia si può optare per un sistema misto tenendo conto di un principio sacro, gli atleti si devono meritare la maglia azzurra.
Si può individuare una o due competizione ad hoc dove il primo o i primi due si guadagnano il posto in azzurro, lasciare ai numeri (classifca mondiale e nazionale) altri due posti e magari altri due posti lasciarli ai risultati individuali per finire con altri 2 posti a totale discrezione del tecnico. Giustamente egli dovrà valutare le potenzialità di un giovane per incentivarlo e dargli la possibilità di fare esperienza internazionale. Per il pingpong avere una rosa di 10 atleti per ogni categoria di età è sufficiente. Ci serve allargare la base, investire di più sulle società che crescono i giovani e sui giovani che potranno diventare la spina dorsale della futura nazionale.

Bene, mi sono dilungato abbastanza, sarei curioso di consocere le vostre opinioni anche se in altri post avete già espresso qualche malcontento. Se avete dei quesiti , vi risponderò.

Un saluto dagli States.

Max

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