La medaglia olimpica

24 Settembre 2014 da Ping Pong Italia · 31 Commenti 

Finalmente sono di ritorno sul blog con questo pezzo dedicato alla medaglia olimpica ottenuta recentemente dalla statunitense Lily Zhang alle Olimpiadi Giovanili di Nanchino  Qualcuno avrà pensato che avessi abbandonato il blog, che lo avessi lasciato perdere, che me ne fossi disinteressato. Non è così. Sono troppo affezionato al blog anche se oramai molta gente emigra sui social network ma per me va bene lo stesso, eppoi mi fa sentire un po’ più italiano, infine finché ci sarà anche un solo lettore, vale la pena continuare, mi dispiace solamente di non poter dare continuità, ma credetemi, oggi come oggi, il pingpong, quello della tecnica, quello del buon gioco, offre poche ispirazioni. Tuttavia se avete richieste o curiosità non esitate a chiedere, vi prometto che vi risponderò.

E veniamo alla medaglia di bronzo nel singolo femminile. Lily Zhang n.115 ha davvero meritato questa medaglia, sebbene fosse la numero 4 del tabellone, nulla toglie al fatto di aver avuto la meglio su di un avversaria, la giapponese Kato n.61 forse con meno esperienza e meno anni di lei, ma in ogni caso un risultato storico che può dare maggior entusiasmo e fiducia ai pongisti americani e alle future generazioni che verranno.

Quando venni in America, nel gennaio 2011, Lily era n.226 del mondo, certamente una promessa a livello giovanile ma nessuno si immaginava dove questa ragazza potesse arrivare, anche se devo dire che avevo previsto il suo ingresso nelle prime 50 del mondo, infatti dopo i mondiali di Tokio 2014 la sua classifica era schizzata al numero 51, insomma un lavoro duro continuo costante che alla fine ha portato davvero a qualcosa di importante

Ho seguito la gara in diretta, alle 4 del mattino italiane, ero in Italia quel giorno. Lily avrebbe potuto vincere 4 a 0 se non avesse pensato di essere troppo prudente nel gioco evitando di essere più aggressiva con il diritto. E’ stata una partita molto bella e spettacolare gestita mentalmente molto bene. La cosa che più mi preoccupava era la tenuta mentale ma sapevo anche che Lily da giocatrice matura avrebbe capito quanta importanza avesse giocato l’aspetto emotivo. E per un momento ho temuto quando sul 2-1 per lei e 9-5 si è lasciata sfuggire l’occasione di andare sul 3-1 ipotecando meglio la medaglia. Ha perso quel set 9-11 e ha reagito bene portando a casa gli altri due che le sono valsi il podio olimpico. Al suo ritorno mi ha detto di non aver dormito la notte prima e che aveva fatto 2 sogni, uno in cui perdeva con tanto di lancio della racchetta, l’altro in cui vinceva e sollevava le braccia (con la racchetta) al cielo. Fortunatamente si avverato il secondo sogno. Meglio così. Insomma un’esperienza unica irripetibile. E francamente vedere sul podio Cina, Hong Kong e USA è altrettanto una cosa insolita.

Durante il mese di Aprile si era aperta la possibilità per me di essere il coach e Team Leader della squadra. Negli Stati Uniti in occasione delle Olimpiadi non è così automatico che l’allenatore della nazionale sia anche il coach di quella manifestazione. Anche per Londra 2012 avevo la stessa possibilità ma non ero stato informato. Il comitato Olimpico Americano tiene conto degli atleti coinvolti e lanciano una sorta di selezione anche per il coach così da dare la possibilità ai tecnici degli atleti qualificati di contribuire meglio al successo della squadra.
Eravamo 3 candidati, io ero il primo della lista avendo entrambe gli atleti allenati da me che si sono qualificati, Lily per via della classifica, Krish Avvari guadagnandosi il posto nelle qualificazioni continentali.
Il primo difetto di tutta la vicenda lo ha evidenziato la federazione preparando un programma senza aver consultato il diretto allenatore che avrebbe poi operato sul programma. Il programma consisteva in 50 giorni di impegno fuori degli USA con allenamenti e competizioni varie. Un periodo davvero lungo per un allenatore professionista, ciò avrebbe comportato parecchi disagi al club per il quale lavoro, per me sarebbe stato un onore ed un onere che avrei sostenuti con senso del dovere. L’idea quindi del club ICC di concedermi 30 e non 50 giorni era anche rafforzata dal fatto che comunque avrei avuto i miei atleti sotto il lavoro quotidiano, si trattava di saltare il camp in Cina organizzato dall’ITTF. A questo punto la federazione è stata inflessibile, ciò che era pubblicato non poteva essere modificato, anche se la maggioranza dei membri del comitato era favorevole a darmi l’incarico. Il secondo errore è derivato dalla stessa federazione la quale imponeva l’obbligo di partecipare allo stage in Cina, sul bando era scritto “mandatory” che in inglese significa obbligatorio. Quando i giochi sono stati fatti, cioè hanno deciso di affidare l’incarico ad un altro coach, a quel punto lo stage in Cina non era piú necessario per il coach tanto è vero che quel coach era stato dirottato in Corea e Giappone per il doppio World Tour asiatico dove Lily Zhang avrebbe preso parte, lasciando l’altro atleta qualificato, Krish Avvari praticamente da solo. In effetti c’era un tecnico con lui, ma in ogni caso la procedura è stata stravolta.
Ecco dunque che lo scippo si è così perpetrato, così come, dicevo, avvenne nel 2012 quando tutti e 3 gli atleti qualificati per Londra erano allenati da me. Fine della storia, molto rammarico e la felicità comunque della medaglia.

Durante questi quasi 4 anni ho effettuato molti test su Lily per capire quali potevano essere le sue migliori prerogative. Da tutti riconosciuta come un talento di eccezionale potenzialità. Per un certo periodo ho lavorato su quelle che erano le sue lacune, cercando di colmarle proponendo qualcosa di alternativo oppure indicando una strada complementare, ma dopo un po’ ho cambiato strategia, mi sono “disinteressato” completamente dei suoi difetti e mi sono concentrato sulle sue qualità. E’ stata la svolta. Prima di tutto ho fatto in modo che il suo gioco fosse basato sulla velocità, mantenendo la sua caratteristica principale, i riflessi al tavolo, ho insistito affinché la palla venga colpita prima che esca dal tavolo. Poi abbiamo lavorato sullo spin, Lily riesce a siglare da 4 a 6 punti per game solo con il top di apertura di rovescio, una terza o quarta palla davvero notevole, lo ha saputo sempre fare ma fino a qualche tempo fa voleva girarsi perché pensava che il diritto fosse più efficace, a quel punto, statistiche alla mano le ho fatto capire che girarsi non sarebbe convenuto. Terzo il piazzamento della palla. Lily riesce a dare la direzione giusta alla palla, non gioca mai d’istinto, anche in questo caso è bastata la consapevolezza di vedere verificarsi ciò che ella stessa aveva in mente, ho stiracchiato portando al limite la sua abilità di piazzare la palla nei punti più difficili e, credetemi, quando ci riesci tutto diventa facile perché la fiducia dei propri mezzi va alle stelle. Ci sono naturalmente altre cose da dire, ma mi fermo qui pensando che i punti chiavi del suo successo siano questi.

Ora Lily si ferma, forse farà qualche gara, ma il suo impegno è più che dimezzato perché ha iniziato il college a Berkeley. Immaginate la stessa cosa in Italia, anzi non immaginate perché è semplicemente impensabile. Raggiungi la 51ma posizione del mondo, per la precisione oggi, settembre è alla 89ma posizione, in Italia le avremmo dato tutto il supporto, in America no. Nel 2015 prenderà un anno di “aspettativa” dal college per preparare a qualificarsi alle Olimpiadi di Rio 2016. Vedremo.

E veniamo a qualche considerazione magari utile a tanti allenatori che leggono o che mi seguono e che forse susciterà qualche riflessione in più.
Secondo me, come allenatori, siamo troppo spesso concentrati o influenzati dagli errori che i nostri ragazzi commettono, ma ci dimentichiamo altrettanto spesso delle qualità che dimostrano, delle scelte che optano durante il gioco e così via, mi riferisco naturalmente a tutti i livelli di gioco.
Pensate, e mi rivolgo agli allenatori, a quante volte vediamo padre/madre di un ragazzino che ci chiede: “cosa c’è da migliorare?”, nessuno chiede mai: “quali sono i punti di forza e come si possono enfatizzare?” Ed ecco che l’esperto che è in noi si lascia andare ad una serie di elencazioni sui difetti, il piede, la spalla, il busto, l’impugnatura e etc. Ci riesce troppo bene a vedere i difetti, pensiamo che siano solo quelli su cui lavorare e modificare, non dico che è sbagliato ma almeno pensiamo anche ad altro. E’ un po’ come un neo, solo perché c’è, non significa che lo dobbiamo togliere. Addirittura ci sono persone che lo valorizzano. E’ come se chiedessimo al soprano di migliorare il contralto. E ancora, vorrei spingere all’estremo, è come avere a che fare con persone che hanno delle disabilità, da quelle persone non pretendiamo nulla, ci dobbiamo accontentare delle loro abilità e le valorizziamo come fossero le migliori abilità del mondo e magicamente loro rispondono alla grande. A volte, anzi molte volte a noi tutti non piace sentirsi dire dei nostri difetti, la reazione è che ci chiudiamo a riccio ed il risultato che ne scaturisce è esattamente l’opposto. Noi allenatori, siamo come per le music star, il mixer, ogni tanto alziamo il volume della voce, poi abbassiamo la chitarra, e poi ancora misceliamo il tutto con un unico risultato, la miglior prestazione possibile.
Voglio comunque tranquillizzare i lettori/tecnici, chiunque. Saper osservare è la qualità che un allenatore dovrebbe avere, per me è un requisito essenziale, dopodiché sarà lui/lei a trovare la strada giusta per tirar fuori il meglio da un giocatore, a me è successo così e molto tranquillamente ve lo rivelo, spero che questo approccio possa ispirare qualcuno affinché i propri atleti migliorino sempre di più.

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