I mondiali di Suzhou (parte III)

7 Ottobre 2015 da Ping Pong Italia · Lascia un commento 

del Drago Rosso

A dispetto di chi dice che questo è morto, continuo a scrivere, sia pure con i miei proverbiali ritardi. Diciamo che questo blog ogni tanto si addormenta profondamente, molto profondamente, ma poi si risveglia sempre. Ero in debito della terza e conclusiva parte delle mie riflessioni sui Mondiali e su altre cose, oltre che di ulteriori risposte e indicazioni a Sacramen e altri lettori. Provo a rimediare, scusandomi ancora una volta per il ritardo, problema che dall’inizio dell’anno prossimo non dovrebbe più sussistere perché a dicembre andrò in pensione e avrò più tempo per scassare la minchia a tutti! Innanzitutto un «avviso di chiamata» per altri argomenti molto importanti che affronterò fra un po’: vedo che si è scatenata la corsa per l’elezione del presidente federale, sto già scompisciandomi dalle risate nel vedere i quadrupli salti mortali che qualcuno sta facendo per presentarsi come «il nuovo che avanza» e sto commuovendomi nel leggere come l’eroico Di Folco abbia combattuto strenuamente per sei lunghi anni in Consiglio federale per opporsi a quel cattivone di Sciannimanico (fessi noi che non ce n’eravamo mai accorti), più in generale come tanti scendiletto del presidente federale uscente (dicono a Napoli: foss’a’ Maronna, se uscisse davvero) si stiano rivelando protagonisti della rinascita del tennistavolo italiano e come i tanti gonzi e le tante pecore che per tanto tempo hanno sorretto l’uomo solo al comando siano pronti a prostrarsi davanti a un nuovo uomo della provvidenza. Fino a prova contraria, ho visto solo Vermiglio e la sua cordata battersi davvero contro Sciannimanico. Per il resto, che spettacolo!

SUZHOU

E passo ai Mondiali. Ho già parlato delle disfunzioni organizzative e delle principali indicazioni tecniche, non mi resta che concludere i vari discorsi. Il più importante, a mio parere, è l’abbassamento continuo del livello tecnico generale. Il discorso non è nuovo, ma è inevitabile tornarci su: a parte i cinesi, non ci sono nuovi giocatori, soprattutto in Europa, ma neanche in Giappone e Sud Corea. Avevo già segnalato, nel mio secondo articolo su Suzhou, il polacco Dyjas e il bielorusso Khanin come giovani interessanti, ma poi c’è il deserto. Il punto è questo: lasciando da parte i cinesi (anche loro con ridotta capacità di ricambio generazionale, ma comunque in grado di tirar fuori qualcuno molto buono), non si vedono nuovi campioni, col risultato che ci ritroveremo fra qualche anno con giocatori sempre più scarsi, con i vecchi che si trascineranno più a lungo possibile perché almeno ai Campionati europei riusciranno a raccattare qualcosa, vista l’inconsistenza dei giovani. Non stanno tanto meglio Giappone e Sud Corea. Alla fine, dei giapponesi rimane soltanto il solito Mizutani, gli altri giovani che promettevano chissà cosa, come Matsudaira e Niwa, mostrano sempre più limiti ben precisi. E i sudcoreani, scuola sempre di tutto rispetto, ha molti giocatori di livello medio-alto, ma nessuno in grado di garantire qualche risultato di eccellenza. Della vecchia generazione (Yoo Seung Min e Oh Sang Eun gli ultimi ad abbandonare il palcoscenico mondiale) rimane solo il grande Joo Se Hyuk, che deve arrendersi a Ma Long, ma che fa capire una volta di più cosa il tennistavolo mondiale stia perdendo, senza intravedere ricambi all’altezza.
Una volta definite le linee tecniche principali, resta poco da dire, quasi tutto scontato. Sia negli articoli che nei successivi interventi in risposta a commenti sui vari aspetti dei Mondiali, ho già chiarito cosa è successo nel singolo maschile, posso solo aggiungere che nei successivi tornei internazionali ci sono state conferme delle indicazioni dei Mondiali, a parte la sconfitta di un Ma Long ancora ubriaco per il suo primo titolo mondiale di singolo contro l’altro cinese Shang Kun agli Open del Giappone, prontamente riscattata con la vittoria negli Open di Cina, in cui ha demolito tutti.

SINGOLO FEMMINILE

Non mi soffermo sui doppi, di quello maschile ho già parlato ampiamente, se non per segnalare il misto in cui, in omaggio alla politica dell’Ittf di far formare coppie di nazioni diverse, spicca quella col francese Lebesson e la cinese Chen Meng. Perdono dai cinesi Yan An-Wu Yang per evidenti limiti del francese, ma lo spettacolo è vedere Chen Meng che fa la parte dell’uomo e Lebesson che, timidamente, la segue e si mette a sua disposizione, è anche da questi particolari che si nota la differenza abissale fra Cina ed Europa. Per quanto riguarda Chen Meng, però, c’è da aggiungere qualcosa di interessante, vista la sua assenza nella gara di singolo. Chen Meng per me è una delle tre più forti in questo momento, insieme a Liu Shiwen e Zhu Yuling, ma i nuovi criteri di convocazione della Cina per le grandi manifestazioni l’hanno penalizzata. Nel torneo di qualificazione nazionale si è trovata in un momento di scarsa forma ed è stata eliminata, a vantaggio di Mu Zi, che è poi arrivata addirittura in semifinale grazie anche a un tabellone nettamente sbilanciato. La riprova è arrivata nei successivi Open del Giappone quando ha vinto il singolo, battendo 4-1 in semifinale Ding Ning e 4-3 in finale Zhu Yuling. Purtroppo, il sistema di convocazione cinese provoca questi danni, anche se la Cina non se ne preoccupa perché comunque vince, quindi non importa chi va ai Mondiali. Dal punto di vista tecnico, però, viene falsata la realtà. L’ulteriore dimostrazione la si ha guardando i risultati di una stagione intera, con Ding Ning che perde da quasi tutte le cinesi, ma vince la Coppa del Mondo 2014 solo perché si ritrova come unica avversaria (solo 2 ammesse per nazione) una Li Xiaoxia ormai non più in grado di competere con le migliori e poi i Mondiali con un tabellone debolissimo, in cui rischia con le cinesi meno forti (4-3 sia alla Wu Yang che alla Mu Zi), e con l’episodio della finale con Liu Shiwen su cui tornerò fra poco. Con Zhu Yuling perde 4-0 i Campionati Nazionali e 4-0 nella finale degli Open di Cina, arrivandoci tra l’altro grazie a un tabellone in cui non trova nemmeno una cinese fino appunto alla finale (e anche agli Open del Giappone arriva in semifinale senza trovare neanche una cinese per poi essere demolita dalla Chen Meng). Per il resto, non c’è molto di interessante, poco dall’Europa, poco dalla Sud Corea, con difese forti ma che non riescono a raggiungere i livelli di una Kim Kyung Ah, per citare l’ultima di tante fortissime giocatrici sudcoreane di difesa. Nemmeno il Giappone va oltre un certo limite. Restando alle giapponesi, comunque, chiudo parlando di una giocatrice che si è sempre distinta per il suo gioco spettacolare e per la sua grandissima grinta, Sayaka Hirano. Purtroppo per lei, gli anni passano e pesano, va fuori da una non eccelsa Matelova, dopo aver sprecato l’impossibile. La sua permanenza in nazionale ora è a rischio, considerata anche l’età (ha compiuto 30 anni il 24 marzo). Dopo aver perso, pur nel disappunto, disciplinata come un soldatino si è sottoposta per quasi mezzora alle interviste dei giornalisti giapponesi, carta stampata, internet, radio, televisioni. L’ho aspettata, alla fine della zona mista, per salutarla, lei però mi ha detto di seguirla nella sala lounge degli atleti, poi ho capito perché. Quando si è resa conto che nessuno la vedesse, oltre a me, è crollata ed è scoppiata a piangere, dicendomi che il c.t. della nazionale vuole metterla fuori e fare spazio alle giovani. So che il momento deve arrivare, ma perdere una giocatrice come la Hirano è un peccato per il tennistavolo e la sua stessa reazione, coraggiosa nel non mostrarsi debole di fronte ai giornalisti, fragile nel momento in cui non ce la fa più a reggere. Spero che possa giocare un altro po’, in ogni caso a lei va reso onore per quello che ha saputo dare al tennistavolo e a chiunque abbia assistito a una sua partita, regalandogli spettacoli ed emozioni indimenticabili. Sarà difficile trovare un’altra come lei.

DING NING-LIU SHIWEN

La conclusione la dedico a ulteriori riflessioni sulla finale femminile e alle polemiche a essa legate. Non ripercorro gli avvenimenti e quello che ho già scritto, potete facilmente ritrovarli sul blog insieme alle osservazioni di Sacramen, soprattutto quelle legate anche alla sua esperienza in tema di infortuni. Provo qui a chiarire ulteriormente, puntando su due punti essenziali: la possibilità che l’infortunio di Ding Ning fosse vero o no, la possibilità che Ding Ning alla ripresa del gioco abbia cambiato o no la sua tattica. Sul sito dell’Ittf e negli interventi di molti osservatori è stato detto che Ding Ning, dopo l’infortunio alla caviglia, ha cambiato gioco e, invece di stare lontana dal tavolo, come aveva fatto fino a quel momento, si è messa più vicina e non si è mossa più perché aveva difficoltà a muoversi. Prima di entrare in argomento vorrei parlare di un’altra vicenda, non legata al tennistavolo, che però può servire per capire quale sia stato l’impatto psicologico di quanto avvenuto nella finale Ding Ning-Liu Shiwen su chi la stava osservando. L’esempio è molto famoso e perciò comprensibile da tutti, riguarda il Mondiale di calcio vinto dall’Italia nel 1982. Nel girone dei quarti di finale l’Italia affronta il Brasile (dopo aver battuto 2-1 l’Argentina), gli azzurri sono obbligati a vincere per andare in semifinale, al Brasile (3-1 all’Argentina, miglior differenza reti in caso di arrivo a pari punti con l’Italia) basta il pareggio. Se andate a rivedere i commenti di quella partita, vinta 3-2 dall’Italia, o se li ricordate, come è probabile, viene fuori la storia del Brasile che non si accontenta del pareggio dopo essere riuscito a raggiungere gli azzurri sul 2-2 e dell’Italia che lo punisce in contropiede segnando il 3-2. Anche oggi, se andate a leggere sui giornali o sui siti le rievocazioni di quella partita, trovate la stessa storia, il Brasile presuntuoso che vuole vincere e l’Italia che lo punisce IN CONTROPIEDE. Bene, questa è UNA PUTTANATA GALATTICA. Sapete come segnò il 3-2 l’Italia? Su calcio d’angolo. Sì, su calcio d’angolo, ottenuto fra l’altro non in contropiede, ma su un errore dei difensori brasiliani, che si passano la palla fra loro per perdere tempo, finché uno non sbaglia il passaggio indietro al portiere che non ce la fa a recuperare il pallone, che va in calcio d’angolo. Ma non basta, perché quello che avviene su questo calcio d’angolo è ancor più da fantascienza. Andate a rivedere il filmato del gol, lo trovate facilmente su youtube, e provate a contare quanti giocatori brasiliani si trovano nella loro area nel momento del calcio d’angolo: cinque, sei, sette? Vi risparmio la fatica: TUTTI E UNDICI! Sì, il Brasile che nei racconti leggendari dei grandi giornalisti perse quella partita per presunzione, beccandosi il gol IN CONTROPIEDE, si prese il 3-2 su un calcio d’angolo sul quale tutta la squadra, per paura, si era rintanata nella sua area. Se l’ultima squadra di Terza categoria dilettanti va a giocare sul campo della Juve, dell’Inter o magari del Barcellona, non credo che si metta con tutti e undici giocatori in area su calcio d’angolo. Ma la leggenda dice che il Brasile perse con un gol in contropiede.
E allora, torniamo a noi. Non si tratta di essere stupidi o disattenti, si tratta di un atteggiamento mentale molto comune, di «fiducia» in quello che ci dice il telecronista o in quello che viene scritto sui giornali o sui siti, in questo caso su quello dell’Ittf, con conseguente «distrazione» dalla realtà. Perciò, vi invito a riguardare la finale come se non sapeste già cosa è successo. Per conto mio, faccio notare due cose, la prima sull’infortunio, la seconda sulla tattica di gioco. Sacramen descrive bene cosa succede a proposito di una distorsione alla caviglia e cita la sua esperienza con un movimento «più violento e rapido». Il punto è proprio quello. Guardate come avviene la caduta di Ding Ning (la ripresa è dalle sue spalle, quindi chiarissima): non avviene dopo un suo saltello (comunque quelli di Ding Ning sono appena accennati, lei non si distacca molto da terra quando li fa), ma con il piede ben piantato sul suolo. Lei finisce a terra perché perde l’equilibrio non perché poggia male il piede dopo un salto, e, mentre cade, continua a tenere il piede per terra tanto che si vede chiaramente che la caviglia si piega. Ma Ding Ning cade molto lentamente e altrettanto lentamente si piega la caviglia, che però torna immediatamente «dritta». Insomma, non c’è il colpo sulla caviglia dovuto all’impatto da caduta con il peso del corpo che va a gravare sulla caviglia stessa. C’è una torsione appena accennata che si risolve subito perché Ding Ning stacca il piede da terra mentre sta cadendo. Il dolore c’è, naturalmente, ma è difficile credere che il danno sia quello che Ding Ning ha voluto far credere, a maggior ragione se si considera cosa accade dopo. E passiamo al presunto cambiamento di tattica da parte di Ding Ning. Anche in questo caso, guardate il gioco prima e dopo l’infortunio, senza farvi fuorviare dai commenti apparsi sul sito Ittf. Io faccio notare che Ding Ning, prima e dopo, resta sempre alla stessa distanza dal tavolo, un metro o poco più, e gli spostamenti laterali, brevi, sono sempre gli stessi. L’unica cosa che cambia è che Ding Ning, dopo ogni punto, si mette a zoppicare. A Napoli dicono : ‘ccà nisciuno è fesso. Io dico lo stesso. Ma, naturalmente, ognuno è libero di verificare, le immagini sono chiare. Aggiungo solo qualche considerazione. Nel momento dell’infortunio, Ding Ning è in balia di Liu Shiwen, nel set precedente Liu Shiwen ha vinto ben 7 punti chiudendo azioni d’attacco e comunque è sempre lei ad attaccare. Ding Ning, insomma, è sulla difensiva, a ribattere, già prima dell’infortunio, risulta ancora più sbagliata quindi l’interpretazione della diretta Ittf e poi del commento sul cambiamento di tattica. Ding Ning è in difesa prima e dopo. Ciò che cambia è la tenuta mentale di Liu Shiwen. Sempre dalle immagini è possibile notare un’altra cosa importante: Liu Shiwen, dopo l’infortunio, guarda una sola volta cosa sta succedendo dall’altra parte del tavolo, poi si gira di spalle e rimane così finché non viene chiamata dagli arbitri, quasi 11 minuti con le spalle girate, a voler mantenere la concentrazione, ma perdendola, perché è umanamente impossibile non volersi girare per guardare cosa succede e di conseguenza si pensa a cosa sta succedendo, invece di restare tranquilli e concentrati solo su se stessi. Infatti, quando il gioco riprende, la tattica rimane la stessa, Ding Ning a ribattere a un metro dal tavolo, Liu Shiwen ad attaccare, ma con molti più errori.
Ognuno può avere la sua idea, ma, ripeto, guardate la partita e gli episodi senza pensare a cosa avete ascoltato e letto, dopodiché decidete. Io continuo fermamente a pensare che Ding Ning (a prescindere dalle testimonianze dirette dall’interno della squadra cinese) abbia compiuto una grandissima paraculata. E continuo a pensare che i risultati di tutti gli altri incontri, prima e dopo i Mondiali, confermino la sua inferiorità rispetto alle altre cinesi più forti.

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